Thursday 31 October 2013

Doppio post: Dite soltanto 'Mi dispiace' e Storia di una nascita di quattro anni fa.

Volevo scrivere questo post il 14 ottobre, il giorno del quarto compleanno di mia figlia e poi scriverne un altro il 20 ottobre, per ricordare il giorno in cui, esattamente cinque anni fa ho scoperto di aver perso il mio primo bambino; ma il mio computer era via in riparazione e ho dovuto aspettare fino ad oggi. Così, quei due post diventeranno uno. Probabilmente doveva andare così perché le storie dei due post sono strettamente legate tra loro.
Inizierò dal post che avrei scritto il 20 ottobre.

Durante l’estate 2008 e il mio (allora) fidanzato avevamo deciso di iniziare a “metterci in pista” per avere un bambino; pensavamo fosse un po’ presto, ma poiché eravamo entrambi convinti che per ragioni personali ci avremmo impiegato un po’, abbiamo deciso che era meglio provarci prima possibile. E invece, sono rimasta incinta al primo tentativo! Abbiamo subito dato un nome al bambino: Lenticchia. Eravamo al settimo cielo, non vedevamo l’ora (specialmente io) di poterlo dire alle nostre famiglie e ai nostri amici, così quando ero incinta di appena 6 settimane lo abbiamo spifferato alle nostre famiglie, alla maggior parte dei nostri amici e ai colleghi di lavoro. Sapevo che 1 gravidanza su 3 si conclude, purtroppo, con un aborto spontaneo, ma pensavo che non potesse succedere proprio a me. A 6 e 9 settimane ho avuto delle perdite, ma sono bastate due ecografie per rassicurarci: Lenticchia stava bene e il battito del suo cuoricino era perfetto.

Nonostante la nausea costante, stavo benissimo, mi sentivo bellissima, felice e camminavo parlando continuamente (non a voce alta) con il mio bambino.
Allora lavoravo a Renfrew e il viaggio (autobus poi treno poi ancora autobus) mi faceva sentire ancora di più la nausea (a volte dovevo precipitarmi in bagno appena arrivata a scuola, o tra un’ora e l’altra!), ma nonostante ciò andava bene così. Mi trovavo in un tale stato emotivo per cui potevo scoppiare a piangere o a ridere per un nonnulla. Era per me uno stato mentale completamente nuovo.

Era arrivata la data dell’ecografia delle 12 settimane (credo che in Italia sia quella della traslucenza nucale), non ce la facevo più ad aspettare! La notte prima avevo sognato che il bambino (o bambina) aveva la sindrome di Down, ma al mattino non l’avevo raccontato ad Ale (come faccio di solito con qualsiasi sogno) perché mi sembrava una sciocchezza. Ora so che non era una sciocchezza: il mio corpo mi stava, probabilmente, dando dei segnali che solo il mio inconscio ha recepito, e che mi ha mandato attraverso il sogno.
Così, belli contenti siamo andati a fare l’ecografia, smaniavamo dalla voglia di vedere come stava crescendo il nostro bebè, quanto grande fosse ora, e tutte quelle altre cose che ci si aspettano da un’ecografia.

Quando siamo arrivati l’ecografista ci ha chiesto se per noi fosse un problema se una studente era presente mentre lei faceva l’ecografia. Le abbiamo detto che andava bene allora l’ha fatta entrare. Era una donna davvero bella, di circa 25/30 anni e con un bellissimo pancione! 
Mi sono stesa sul lettino e l’ecografista ha iniziato a mettermi un po’ di gel sulla pancia.
Appena cominciato ho immediatamente visto il mio piccolo (piccola?) sul monitor. Mi sembrava che ci fosse qualcosa che non andava, ma l’ecografista sembrava felice e spiegava alla studentessa che cosa vedeva. Tutto quello che io riuscivo a vedere era che il mio bimbo non si muoveva come aveva fatto le altre volte, sembrava piuttosto che si spostasse solo quando l’ecografista passa sulla mia pancia il doppler per l’ecografia. Ad un certo punto l’ecografista è diventata silenziosa, mi aveva detto che stava impostando il monitor per mettere in risalto alcuni colori che le avrebbero permesso di vedere bene il cuore, perché stava facendo fatica a trovare il battito. Non ha parlato per un tempo che allora mi è sembrato infinito, ma probabilmente non era più di un minuto.
Poi si è girata verso me e mi ha detto “Mi dispiace. Mi dispiace, non sento il battito del cuore del bambino,” e ha continuato a parlare, probabilmente mi stava giusto spiegando che questo significava ufficialmente che non c’era un battito cardiaco da rilevare,e continuava a spiegarmi non so cosa. Il mio cervello si era disconnesso, spento; mi sono alzata, ho tirato su i pantaloni, mi sembrava di muovermi come fossi un robot. L’ecografista mi ha detto che stava per arrivare una midwife (che il dizionario tradurrebbe con ostetrica, ma siccome non è esattamente così, terrò il termine MW) che mi avrebbe chiarito cos’era accaduto e mi avrebbe spiegato cosa si poteva fare; continuava a ripetermi che le dispiaceva, e le sue parole erano sincere, si vedeva, ma suonavano così distanti. Non potevo credere che stesse succedendo proprio a me. Avevo le lacrime agli occhi. Alessandro era con me, sotto shock, paralizzato dalla notizia, ma io continuavo a sentirmi sola, persa in un enorme buco nero.
Una parola continuava a ronzarmi in testa: morto, morto, morto.

Quando è arrivata la MW, ha accompagnato me e Alessandro in un’altra stanza piccola con tre sedie e un piccolo tavolino; ci ha spiegato che avevo avuto un aborto silenzioso (perché allora non sapevo che esistesse una cosa simile?) e ci ha spiegato quali opzioni avevo. L’ascoltavo e sapevo che stava a me decidere, ma avrei voluto così tanto che qualcuno potesse decidere per me. Volevo che mi dicesse “Penso che la cosa giusta per te sia A, o B o C.” Ma non poteva farlo (per etica professionale), e non l’avrebbe fatto.
Ce ne siamo andati e ci è stato chiesto di richiamare più tardi per fargli sapere che cosa volevamo fare.
Non mi ero mai sentita così vuota. Non c’era più una ragione per continuare ad accarezzare la mia pancia, non c’era vita là dentro, il cuore del mio bambino si era fermato una settimana prima; e allora perché, perché io non me ne ero accorta? Questo pensiero stava aggiungendo dolore alla mia sofferenza.
Una volta a casa, abbiamo chiamato le nostre famiglie e gli abbiamo dato la brutta notizia, poi abbiamo chiamato i nostri amici più strettie lo abbiamo detto anche a loro. Stavano tutti aspettando le nostre notizie. E tutto quello che riuscivo a dirgli era “Ciao… dall’ecografia è risultato che non c’è più battito. Abbiamo perso il bambino.”
Ho pianto con Ale e lui ha pianto con me. Ho deciso di fare un raschiamento, la shock era già troppo forte, e io non volevo vedere il mio corpo abortire.
Due giorni dopo sono andata in ospedale e il mio primo bambino è stato portato via; non l’ho mai visto o vista, non so quanto piccolo/a fosse. Non so nemmeno perché mi abbia ha lasciato. E non lo saprò mai.
Mia mamma è venuta a stare da me per un po’, e anche se allora le avevo detto che non era necessario, le sono davvero grata per essere stata con me. Perché è mia mamma; perché ci è passata prima di me; perché ci sono alcune cose che soltanto una mamma può capire.

La famiglia, gli amici e i miei colleghi sono stati fantastici e non mi sono mai pentita di aver parlato con tutti loro della mia gravidanza quando ero incinta di solo sei settimane. Se non gliene avessi parlato sarebbe stato molto più difficile tornare al lavoro (non sarei mai potuta rientrare facendo finta di essere stata in malattia per una semplice influenza, quando continuavo a piangere costantemente) sarebbe stato impossibile uscire e socializzare (non avevo voglia di uscire e divertirmi, allora i miei amici venivano spesso a passare del tempo con noi a casa), o anche solo telefonare a casa.
Ancora però alcune persone mi dicevano “Non ti preoccupare, ci saranno altre gravidanze,” o “Non sei la prima a cui accade, purtroppo succede spesso,” o ancora “Sono sicura che la prossima volta andrà tutto bene.” Lo so che lo dicevano per farmi stare meglio e non per ferirmi, ma il mio solo pensiero era “Non puoi giusto dirmi ‘Mi spiace’ o ‘Piangi, sentiti in lutto se ne hai bisogno’ o qualsiasi cosa simile?”
So che un aborto non significa che non ci possano essere altre gravidanze (Betta e Tilda ne sono una prova molto vivace!), ma una mamma è mamma dal momento in cui scopre di essere incinta, e quel bambino dentro di lei diventa suo figlio subito, non deve aspettare di nascere. Perciò anche se ci saranno nuove gravidanze, questo non significa che quella mamma potrà dimenticare quel bambino che voleva così tanto e che l’ha lasciata troppo presto, solo perché avrà altri bambini. Riuscirebbe mai una mamma con tre bambini a dire “Oh, fa niente se ne perdo uno, tanto ne ho altri due!”? No, non ci riuscirebbe. E anche se il paragone sembra sciocco, credetemi, non lo è.
Sapevo di non essere la prima (e purtroppo nemmeno l’ultima), ma questo non faceva, e ancora non fa nessuna differenza.
E sentirmi dire “Vedrai che la prossima volta andrà tutto per il meglio,” era solo come una pugnalata nella schiena (seppur involontaria) perché quando hai un aborto non riesci a smettere di pensare che forse c’è qualcosa che non va, che il tuo corpo forse non riesce a portare avanti una gravidanza e così via.
Quindi la prossima volta che avete davanti a voi con una donna che ha avuto un aborto, offritele semplicemente la spalla e ditele “Mi dispiace.”



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E questa è la seconda parte del mio blog, fortemente legata alla prima perché quattro mesi dopo l’aborto ho scoperto di essere nuovamente incinta. Ero terrorizzata. Volevo così tanto diventare mamma, ma avevo troppa paura di “farmi coinvolgere” e di soffrire di nuovo come la prima volta (non ho mai pianto così tanto come per quell’aborto, strillavo e gridavo mentre piangevo). Questa gravidanza procedeva bene, ma ho cominciato a viverla serenamente solo dopo aver raggiunto le 20 settimane, e in realtà fino al momento in cui non ho visto la mia Betta per la prima volta, ho avuto paura che qualcosa potesse andare storto.
Così qui di seguito, come da tradizione per ogni compleanno, trovate la storia della nascita di Betta, come l’ho scritta alcuni giorni dopo la sua nascita. Se dovessi riscriverla oggi sarebbe diversa, perché ogni volta che racconto questa storia, viene sempre fuori qualcosa di nuovo. E perché oggi so tante cose che non sapevo allora. Qui avete il racconto originale:

La nascita di ELISABETTA
Elisabetta è nata mercoledì 14 ottobre 2009 alle 5.15 del mattino, un fagottino di kg 3,150 (non male per una piccolina come me!) dopo tre giorni di travaglio.
Non siamo riusciti ad avere il tanto desiderato parto in casa e alla fine ho dovuto sottopormi ad un cesareo d’emergenza.
Nonostante ciò, inutile dirlo, ne è valsa certamente la pena ed è stata un’esperienza unica.
Ho cominciato ad avere contrazioni la domenica mattina (11 ottobre), alcune ore prima che mia suocera arrivasse dall’Italia. Di sera le contrazioni erano già diventate “più forti, più lunghe, più vicine.” Sono andata a letto e le contrazioni sono continuate con una frequenza di una ogni 7/10 di minuti, pensavo quindi di poter continuare a stare tranquilla a casa senza avvisare l’ospedale, ma mia suocera mi aveva detto che era probabilmente ora di chiamare, e così abbiamo chiamato l’ospedale alle 2am è arrivata la midwife. La MW mi ha confermato che le mie erano vere e proprie contrazioni e non Braxton Hicks, ma non c’era dilatazione perché la testa della bambina non era nella posizione giusta. Così durante i due giorni successivi sono venute a visitarmi diverse MW, ma le cose erano abbastanza stazionarie (e la dilatazione di solo 1 cm). La mattina del martedì sono andata in ospedale dove mi hanno somministrato della morfina (qualcosa di cui ora mi pento!) per farmi riposare un po’ visto che non dormivo da più di 48 ore e iniziavo a sentirmi distrutta, molto stanca (e questa non era una buona cosa se dovevo prepararmi a spingere nelle ore successive).
Sono tornata a casa nel pomeriggio e alle 10 di sera è arrivata mia mamma, ero davvero felice che fosse lì con me; pochi minuti dopo la mezzanotte, mi si sono rotte le acque! Mi sono subito resa conto che non erano così limpide come avrebbero dovuto essere allora, io e Alessandro abbiamo deciso di andare subito all’ospedale (potevamo sempre tornare a casa se tutto era a posto - o almeno questo è quello che pensavo allora).
All’ospedale ci hanno confermato che c’era un po’ di meconio nelle acque. Dopo più di 48 ore ero dilatata di soli 3 centimetri. A quel punto è iniziato il monitoraggio: ero ferma a letto con i fili del monitor e con la flebo per l’induzione al braccio. Dal tracciato arrivavano segni di “fastidio” da parte della mia piccola e, secondo il medico, il tracciato mostrava che c’era anche il cordone ombelicale che si era attorcigliato da qualche parte (ma avremmo scoperto solo alla nascita dove). Erano circa le 3.30 e le mie contrazioni erano più forti che mai, la MW era sorpresa di come riuscissi a stare tranquilla e superare ogni contrazione solo con la respirazione e con l’entonox (gas & air).
A questo punto la dottoressa che era già venuta in precedenza a controllare il tracciato, mi ha proposto di fare un epidurale, ma mi ha detto che non stavo progredendo a causa della posizione della testa della bambina, e che secondo lei non mi sarei dilatata oltre. Tutto quello che desideravo in quel momento era non danneggiare la bambina e avere la certezza che nascesse in maniera sicura (come sono cambiate le mie idee oggi riguardo a cosa significhi sicura - ndA), così ho acconsentito ad un cesareo d’emergenza. Mi hanno fatto l’epidurale, e poi anche lo spinale, che non erano ovviamente nei miei piani, ma così in meno di un’ora ho potuto incontrare la mia meravigliosa bambina.
Aveva il cordone attorcigliato intorno alla gamba, ma per il resto stava benissimo!
Me l’hanno data appena finiti i controlli post cesareo e abbiamo iniziato subito il contatto pelle-pelle e Betta si è attaccata al seno in meno di 5 minuti! Non siamo riusciti ad avere il parto in casa che desideravamo, ma l’esperienza è stata così intensa, e mi sento così orgogliosa di aver superato tre giorni di travaglio solo utilizzando esercizi yoga e respirazione (ho usato i TENS, ma devo ammettere che nel mio caso non sono stati molto utili). Non posso negare di essere ancora turbata a causa di quel cesareo perché so che ci sono alcune cose che avrei dovuto affrontare in maniera differente e forse il mio travaglio sarebbe andato in maniera completamente diversa.

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